E' possibile prenotare una visita guidata al Castello Svevo di Federico II con le guide turistiche della Fondazione Santomasi che ve ne sveleranno la storia, gli aspetti artistici e i segreti.

Alla morte di Arrigo VI nel 1197, eredita l’impero il figlio Federico II di soli tre anni. Incoronato nel 1198 fu affidato dalla mamma, la normanna Costanza d’Altavilla, sotto la tutela di Papa Innocenzo III che si fece promettere, quando nel 1220 lo incoronò Imperatore del Sacro Romano Impero, di non unificare l’Impero con il Regno di Sicilia e di indire una crociata verso la terra Santa.

Pur essendo nato nelle Marche (Iesi) e cresciuto in Sicilia, amava definirsi “Puer Apuliae” (figlio di Puglia) e in Puglia ritornava non appena gli era possibile concedersi un riposo. Ereditò in Gioia del colle il castello normanno dei suoi avi, dove risiedeva la sua Bianca Lancia che gli generò il figlio Manfredi.

Presso la sua corte di Palermo radunò ingegni migliori del Regno e di altre regioni d’Italia, senza discriminazione di razza o di fede religiosa, e avviò lo sviluppo di una vasta cultura scientifica e filosofica. Alla sua corte fiorì la prima scuola letteraria, nota come “Scuola Siciliana”, dove si ritrovarono scrittori uniti da stile, gusto e contenuti comuni.
Nelle sue visite nelle province del regno Federico raggiunse Gravina per la prima volta nel 1223 e fu profondamente colpito dalla bellezza del luogo, che definì “giardino di delizie” per i boschi estesi, per i campi fertili, per le copiose sorgenti d’acqua potabile e per un lago artificiale. Qui vi era tutto quello che Federico, appassionato di caccia e di animali, potesse desiderare. Ordinò a tal Fuccio, architetto fiorentino, di costruire un “barco cinto di mura per l’uccellagione presso a Gravina”. Così scrive Giorgio Vasari (Arezzo 1511 – Firenze 1574) nella sua opera “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti”, in “La vita di Nicola Pisano”.

A Federico è attribuito, impropriamente, il distico Gravina urbs opulenta/ grana dat et vina. A sottolineare l’importanza della città, elesse Gravina sede della curia generale per la Puglia, la Basilicata e la Capitanata, destinata a raccogliere le querele e ad istruirvi i relativi processi. A nostra memoria, nelle controversie private o nei contrasti di scarsa entità per concludere una diatriba che altrimenti non avrebbe avuto alcun esito, si usava l’espressione “vè r’curr a F’drech”. Al suo tempo si fa risalire anche l’istituzione del marestallato, l’allevamento del cavallo pugliese in un terreno appositamente creato per questo uso. A questa area più tardi fu dato il nome di “cavallerizza”, ancora oggi nome molto familiare che indica una contrada nel demo di Gravina. Morì nel 1250.



- CASTELLO SVEVO -



Del castello restano soltanto i muri perimetrali su un colle a 450 sul livello del mare lungo la strada che porta a Corato. Con la domus di Foggia, i castelli di Lucera e Castel del Monte risulta essere una delle costruzioni federiciane erette ex-novo. La struttura, a pianta rettangolare, ha una lunghezza di 58 metri e una larghezza di 30. E’ impostato su due livelli. Il piano superiore, utilizzato come residenza dell’Imperatore e della corte, era illuminato da grandi finestre.

Il piano inferiore, destinato alle scuderie, agli alloggi per la servitù e a depositi, presenta oculi e strette finestre. Una sala del castello doveva ospitare i falconi dell’imperatore destinati alla caccia. Per la costruzione di basamenti, pilastri e scale fu utilizzato il mazzaro locale. Il maniero, che aveva nel mezzo un ampio cortile rettangolare, fu completato nel 1227 anno in cui Federico alloggiò per la prima volta. Il castello ospitava due volte l’anno, a maggio e a Novembre, le riunioni della Curia generale nelle quali i giustizieri delle province rendevano conto del loro operato.

L’ abbandono per secoli e l’asportazione di fregi architettonici che decoravano l’edificio, ha determinato il progressivo degrado. Secondo alcune fonti non storicamente attendibili, il castello sarebbe stato abbandonato dopo il violento e disastroso terremoto che nel 1456 colpì il regno di Napoli. Da sottolineare una leggenda popolare secondo cui una galleria avrebbe collegato il maniero al palazzo ducale costruito dagli Orsini nel centro della città agli inizi del XVII secolo, per consentire una fuga dalle minacce cui sarebbe stato soggetto un cosiddetto “duca padre” reo di godere del famigerato “Ius primae noctis”.

(testi a cura del Prof. Giovanni Pacella – Associazione Benedetto XIII)